Italia,  Roma

Il Carnevale romano: la corsa dei Berberi e la festa dei moccoletti

Quando pensiamo al Carnevale viene in mente quello di Venezia o di Rio De Janeiro ma non tutti conoscono il folclore che caratterizzava, almeno fino a poco prima dell’Unità d’Italia, il Carnevale Romano. Durava undici giorni anche se quelli effettivi erano otto, poiché il venerdì e le due domeniche comprese in quell’arco temporale erano dedicate alla preghiera e alle rigide regole liturgiche. Era una delle feste più amate ed attese dai Romani e richiamava gente da tutta Europa. La Roma del 1800 non offriva grandi opportunità di divertimento ed era ben lontana dal clima che si respirava nelle Corti Europee. Erano poche le feste durante l’anno. I nobili si annoiavano. Pensiamo al Marchese del Grillo così ben interpretato da Alberto Sordi! Aveva un continuo bisogno di burlarsi del prossimo per vivere momenti di piacevole novità. I poveri invece, come in qualsiasi altra parte del mondo, erano oppressi e sfruttati. Il carnevale, dunque, rappresentava per tutti una parentesi gioiosa e festosa prima di entrare nel periodo della quaresima. A carnevale erano ammesse alcune libertà proibite durante il resto dell’anno, la cui trasgressione veniva punita con pene corporali o pene capitali. Il boia, a Roma, era in costante attività! Solo in questo periodo erano previste le manifestazioni teatrali pubbliche, proibite durante il resto dell’anno.

Numerosi sono gli scrittori e gli artisti che hanno provato a descrivere nelle loro opere le bizzarrie del carnevale. Goethe e Dumas, tra gli spettatori più illustri, raccontano dettagliatamente i momenti salienti in cui era scandito, concludendo entrambi che, lo spirito della festa poteva essere compreso nella sua piena essenza, solo partecipandovi. Numerosi sono anche gli acquerelli, sparsi nei musei del mondo, che ritraggono il carnevale romano.

Con l’arrivo dei Savoia a Roma, quindi dopo l’Unità d’Italia, il carnevale andò a perdere sempre più mordente sino a rimanere svuotato della sua stessa anima. Ridotto al nulla. La ragione è semplice: il carnevale era connotato da elementi a tratti violenti e troppo “popolani”. Non in tono con l’immagine pensata per la nuova Capitale del Regno.

Origini

Il carnevale trae origine dall’antica festa romana dei “SATURNALIA”, che si festeggiava in onore del Dio Saturno. Con l’avvento del Cristianesimo la festa assunse connotati diversi, in linea con la religione cattolica, pur rimanendo immutata nella sostanza. Il nome “Carnevale”, la cui etimologia viene dalla contrazione delle due parole latine “CARNEM LEVARE” (togliere la carne) designava il periodo di feste e di eccessi, anche a tavola, e segnava l’ingresso nella quaresima, caratterizzata da austerità e da astinenza di carne.

I luoghi del carnevale sono inizialmente Monte Testaccio e Piazza Navona. A Monte Testaccio si teneva la “ruzzica dei porci“. Sull’omonima collina artificiale venivano allestiti alcuni carretti con sopra i maiali vivi che poi venivano fatti rotolare sulla ripida fiancata. A valle si radunava la folla che si contendeva ciò che rimaneva degli animali e faceva pieno di “carne da mangiare”. In Piazza Navona, il cui nome originario era Santa Maria in Agone, si svolgevano tornei di cavalieri e tauromachie. Con il Rinascimento e soprattutto con Papa Paolo II, il carnevale si arricchisce sempre più sino a richiamare spettatori da tutta l’Europa. Nella metà del 1400, con la nuova sede Papale a Palazzo San Marco (Piazza Venezia) il carnevale si sposta quasi interamente in via Lata, dove si svolgevano numerose corse e tornei. Via Lata è stata rinominata via del Corso proprio per ricordare le numerose corse che in questo luogo si tenevano nel periodo di carnevale.

Ma andiamo con ordine. Come dicevo poc’anzi in questo periodo alcune regole in materia di ordine pubblico venivano sospese e ai romani erano concesse alcune licenze proibite durante il resto dell’anno. Il carnevale era regolamentato di anno in anno ed elencava con precisione i comportamenti consentiti e proibiti e le eventuali punizioni. Non a caso il Carnevale si apriva con le esecuzioni capitali nelle piazze pubbliche a cui i Romani assistevano come se fosse una festa. Questo singolare inizio, metaforicamente, rappresentava un monito per la cittadinanza ad attenersi alle regole, pena il rischio della decapitazione, dell’impiccagione o di altra punizione. Si racconta che a causa degli eccessi di libertà molte volte il boia sia stato costretto a fare straordinari proprio nel periodo di carnevale! È molto interessante il racconto di Dumas nel “Conte di Montecristo”. Evidentemente aveva assistito di persona ad una esecuzione, visto che riporta scrupolosamente il lungo cerimoniale. Dumas si stupisce del baccano prodotto dalla gente che si accalca lungo le pendici del Pincio per assistere all’esecuzione. Piazza del Popolo è allestita con il patibolo al centro ed i condannati sono accompagnati dal corteo formato dai membri della confraternita di San Giovanni Decollato (che avevano il compito di assistere i condannati), coperti con un saio grigio e con in mano una torcia accesa.

Vi invito a leggere queste meravigliose pagine scritte da Dumas!

Dopo l’esecuzione si dà ufficialmente il via al carnevale! Al suono della campana del Campidoglio, la piazza del Popolo in breve viene sgomberata dal patibolo e non rimane più alcuna traccia del sinistro spettacolo. Le vie intorno a via Lata si riempiono di maschere di ogni tipo, spuntano da ogni dove carrozze colorate e strabordanti di gente che lancia uova piene di farina, confetti e fiori. Ciascuno urla oscenità di ogni tipo e lancia ingiurie verso chiunque incontri sul suo cammino senza che l’altro abbia nulla da ridire. Questa è l’unica occasione in cui il “povero” può farsi beffa del “ricco” o rivolgere un insulto villano senza incorrere in qualche guaio. I balconi di via Lata per l’occasione diventano il luogo da dove poter assistere in tutta sicurezza agli spettacoli, vengono bellamente allestiti e le finestre sono adornate con drappi colorati. La città è un tripudio di colori e tutti ne sono gioiosamente coinvolti. Via Lata è la protagonista assoluta. Lungo i suoi 1500 metri di lunghezza si svolgono numerose corse che coinvolgono una grande varietà di persone. Inizialmente era prevista la corsa degli ebrei che, al fine di renderli più goffi durante la corsa, venivano costretti a rimpinzarsi di cibo nei giorni precedenti. Questa barbara usanza verso il 1600 fu abolita ma agli Ebrei fu imposto per gli anni a venire il pagamento dei costi del carnevale! Ma non erano i soli ad essere maltrattati. Anche i nani, gli zoppi, i deformi o semplicemente le persone anziane erano costrette a partecipare a questo genere di competizioni. La difficoltà motoria suscitava ilarità nella popolazione, la quale non risparmiava nemmeno salaci battute contro i malcapitati! Anche queste competizioni con il tempo furono abolite, per fortuna!

La corsa dei cavalli Berberi e la festa dei moccoletti

Due erano però le manifestazioni più attese. La prima riguardava la corsa di cavalli berberi, provenienti dall’africa del Nord e noti per la loro robustezza. I cavalli venivano lanciati a grande velocità da Piazza del Popolo e percorrevano a briglia sciolta e senza fantino tutta via Lata fino a Piazza Venezia dove venivano bloccati. Il proprietario del cavallo vincitore otteneva in premio un drappo di stoffa preziosa il cui costo, a quanto pare, era a carico degli Ebrei. La gente assisteva alla corsa addossandosi sui muri dei palazzi di via Lata. Immaginate quanto potesse essere pericoloso! Vittorio Emanuele II, da poco divenuto Re d’Italia, assistette ad una di queste corse e proprio in quella occasione un cavallo travolse una persona, uccidendola. Così fu definitivamente abolita.

La seconda manifestazione attesa era la festa dei moccoletti! Meravigliosa per carica folkloristica. Con il crepuscolo, via Lata, come un bosco rischiarato dalle lucciole all’inizio dell’estate, si andava via via illuminando grazie alle piccole candele che i romani portavano davanti a sé proteggendole da qualunque soffio che potesse spegnerle. Tutti dovevano accendere il moccolo al grido di “MOR’ AMMAZZATO CHI NON PORTA ER MOCCOLO!”. L’obiettivo era quello di spegnere il moccolo del vicino e sbeffeggiarlo. Moccolo dopo moccolo, il buio ritornava ad impadronirsi di via Lata fino a quando la lontana campana del Campidoglio segnava la fine del gioco e del carnevale!

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